La UEFA ha appena diffuso l’annuale report sulla situazione finanziaria dei club europei. Purtroppo nella top ten dei club con maggiori entrate nel 2014 compare solo una squadra italiana, la Juventus che occupa la decima posizione. La squadra bianconera ha incassato 279 milioni di euro, un incremento del 3% rispetto all’anno precedente. Il Real Madrid, primo in questa classifica, ha avuto entrate nel 2014 pari a 550 milioni quasi il doppio del primo club italiano.
Nella top 30 figurano altre cinque squadre del nostro paese. Il Milan, 12° con 221 milioni di euro, con un calo del 12% rispetto allo scorso anno. Al 17° posto l’Inter con 167 milioni ma in calo dell’1% rispetto al passato. Il Napoli è 20° con 165 milioni ma in crescita del 42% rispetto al 2013 e 28ª è la Roma con 128 milioni e un incremento del 3%.
Certo, la crescita bianconera è stata impetuosa: dai 156 milioni del 2010-11 ai 279 del 2014-15 l’incremento è stato quasi del 100%, contro il 48% del Bayern, il 41% dello United, il 25% del Barcellona e il 20% del Real. Il fatturato della Juve, tuttavia è ancora troppo legato ai diritti tv e al tesoro della Champions, che rappresentano ben oltre la metà della torta.
Ma diamo uno sguardo alla classifica generale, confrontando i risultati della stagione 2014/2015 (colonna sinistra della tabella) con quelli della stagione 2013/2014 (colonna destra della tabella). Fonte Deloitte
Ricavi raddoppiati in generale per i top club europei negli ultimi dieci anni, ma le italiane?
Il primo sguardo è per un confronto fra i ricavi dei top club nell’ultimo decennio praticamente raddoppiati se è vero che al primo posto della stagione 2003/2004 c’era il Manchester United con 259 mln, mentre dieci anni dopo troviamo il Real Madrid con 549,5 (+112,%).
Al quinto posto c’era la Juventus con 215 mln e ora c’è il PSG con 474 mln (+120%). Al decimo c’era il Liverpool con 140 mln e oggi c’è la Juventus che fattura 279 mln (+99%). Aumento ancora più contenuto per il ventesimo posto che dieci anni fa occupava l’Aston Villa con 84 mln, mentre ora c’è l’Everton con 144 mln (+71%). Le percentuali di aumento dei ricavi ci spiegano come il business sia sempre più concentrato nei primi 5 top club i cui ricavi sono più che raddoppiati, mentre l’aumento decresce, ma rimane significativo, scendendo nella classifica. Da segnalare che, nella stagione 2003-04 presa in esame per la comparazione, figuravano ben 3 squadre italiane nella classifica delle prime 10. Il Milan (€ 222,1 mln) al terzo posto, quinta la Juventus (€ 215,3 mln) e ottava l’Inter (€ 167,1). Le milanesi dopo 10 anni hanno sempre gli stessi fatturati, sintomo di una gestione non vincente portata avanti negli anni.
Ricavi da stadio, diritti tv e commerciali. Quali sono le principali differenze tra club europei ed italiani?
Il rapporto Deloitte suddivide i ricavi nelle voci incassi da stadio, diritti tv e commerciali. E’ interessante il raggruppamento delle prime 14 società della classifica per tipologia di ricavi.
In una categoria si collocano i club che si contraddistinguono per l’equilibrio fra le differenti tipologie di ricavi. Sono Real Madrid, Manchester United, Barcellona, Manchester City, Chelsea e Liverpool. Tre club hanno il proprio punto di forza sia nei ricavi da stadio che nel commerciale, mentre risulta minore l’incidenza degli introiti dei diritti tv: si tratta di Bayern Monaco (22%), PSG (18%) e Borussia Dortmund (31%). Un club, l’Arsenal ha una struttura caratterizzata da ricavi da stadio e diritti tv, più che commerciale (solo il 26%). Lo Schalke 04 è la società che in proporzione sfrutta meglio il proprio appeal commerciale (il 49% dei ricavi). Nella fascia che si contraddistingue per la predominanza dei diritti tv troviamo Juventus (i ricavi tv pesano per il 55%), Milan (49%) e Tottenham (52%).
Le società italiane hanno una struttura di ricavi simile fra di loro se rapportata a quella delle altre squadre europee. A sostenerle ci sono i diritti tv che contano il 49% nel fatturato del Milan, 52% per l’Inter, 55% per la Juventus e addirittura il 65% per il Napoli. C’è poi un gap interno riguardo agli incassi da stadio.
La Juve incassa € 41 mln, ben € 16,1 in più del Milan, € 20,1 più del Napoli e € 22,2 mln più dell’Inter. Una differenza che non si spiega solo con i maggiori successi sul campo, ma anche con il pressoché totale sfruttamento delle risorse provenienti dallo Juventus Stadium (a cui si aggiunge lo Juventus Museum) che, nonostante conti su meno posti disponibili rispetto al Meazza e San Paolo, presenta un riempimento di oltre il 90% per le partite di campionato con 37.300 spettatori di media su 41.000 posti comprensivi del settore ospiti che spesso non si riempie.
Non meno grave è il gap commerciale esistente fra le società italiane e le altre. Il Milan è 11° con € 102 mln, la Juventus al 13° con € 85 mln, al 16° l’Inter con € 60,4 mln, al 18° il Napoli con € 36,8 mln. Pesa su questo dato il ritardo accumulato dalla Lega di Serie A rispetto ai gestori degli altri campionati. Per anni i presidenti delle società italiane hanno puntato solo alla fetta più grossa possibile di diritti tv, mentre il cuore dei ricavi sta nelle opportunità commerciali da sviluppare. Certo che per trovarle bisogna anche strutturarsi per andarle a cercare. Purtroppo, ancor oggi, manca un’ottica di sistema in questo senso, mentre, a danneggiare le entrate commerciali in casa nostra, permane un’intollerabile inadeguatezza legislativa e delle autorità di controllo rispetto alla violazione dei diritti sui marchi. Basti pensare a tutto il mercato del falso delle bancarelle che fanno affari all’esterno degli stadi.
I fatturati generati riescono a coprire i costi di gestione?
L’altro grave problema dei club italiani sono gli stipendi dei calciatori. Le squadre italiane come detto non hanno grandi incassi annuali ma hanno costi altissimi derivanti dal parco giocatori. L’Inter ad esempio è appena 17ª nei ricavi ma con 167 milioni spende 121 milioni negli stipendi, cioè il 73% dei ricavi annuali, nonostante il club abbia abbassato del 10% il monte ingaggi. Il Milan spende il 73% dei ricavi negli stipendi. Male la Roma che addirittura ha l’85% dei ricavi dissipati negli stipendi di calciatori. Peggio dei giallorossi solo il Galatasaray con addirittura il 97% dei ricavi che finisce nelle tasche dei giocatori. Per dare una idea il Real Madrid spende il 49% dei ricavi in stipendi (cioè 270 milioni). Il Real, quindi, può permettersi salari molto più alti dei club italiani spendendo una percentuale di ricavi inferiore. E’ questo che alla fine fa la differenza fra i big club europei e quelli nostrani.
Il marchio conta?
Il Real Madrid spende 182 milioni l’anno per incrementare la riconoscibilità mondiale del club. Ovviamente diventare il club più conosciuto del mondo aumenta i ricavi ma prevede anche investimenti, cosa che fanno tutti i grandi club europei come il Bayern (185), il Manchester United (111) e hanno iniziato a fare i club italiani come Milan (85), Juve (68) e Inter (66). La globalizzazione dei marchi è stata determinante per tracciare la differenza più marcata tra i top club, quella nell’area commerciale. Proprio su questa voce di bilancio sta puntando l’Inter di Thoir nel piano presentato per risanare il club.
Costi, ricavi, investimenti. I top club riescono anche a generare utili?
Da un lato Real Madrid +42 milioni, Bayern +24, Barcellona +15, Manchester City +14. Dall’altro Inter -140 milioni, Milan -91, Roma -41. In Italia ci sono due eccezioni: la prima è la Juventus, infatti nel 2014-15 i bianconeri sono tornati all’utile (2 milioni) dopo cinque annate consecutive in rosso. Ma la best practice è quella del Napoli, che con la gestione De Laurentis non ha mai chiuso in perdita e nel 2014 ha fatto registrare un utile record (+20 milioni). La Champions, si sa, è una questione di sopravvivenza: il tesoro dell’Uefa risulta determinante soprattutto per le casse tricolori, visto che siamo deficitari nello sfruttamento dei ricavi caratteristici (stadio e sponsor). Da questi dati sono evidenti i danni che l’assenza dalle coppe ha provocato nei bilanci delle milanesi. Vere e proprie voragini. Anche perché il mancato raggiungimento degli obiettivi sportivi provoca un effetto boomerang: i costi sportivi rischiano di schizzare alle stelle, tra allenatori esonerati e calciatori svalutati. Quando poi non c’è un mecenate alle spalle bisogna guardare anche agli aspetti finanziari e le relative azioni da mettere in piedi per ristrutturare il debito (vedi il caso Inter che tra commissioni bancarie e interessi arriva a pagare circa 25 milioni di euro). Le battistrada d’Europa hanno approvato bilanci in utile: continueranno a crescere e a spendere senza rinunciare al benedetto margine. La Juve tenderà al pareggio anche nel 2015-16. Le altre italiane faticheranno ancora, aggrappate al sogno Champions per respirare. Ma il caso del Napoli fa ben sperare, si possono seguire le linee del fai play finanziario e raggiungere risultati sportivi importanti.
Qual è il fatturato di pareggio per ambire ad entrare tra i top club europei?
In presenza di una gestione economica equilibrata, la soglia di fatturato netto per poter competere stabilmente nella Champions League si colloca oltre i 200 milioni. Ad esempio, un fatturato netto di 200 milioni di Euro ed un costo del personale pari al 60% del fatturato netto, permetterebbe di aver una rosa con almeno 14 calciatori con un ingaggio da 8 milioni lordi. Se torniamo alla classifica solo Juventus e Milan superano tale soglia. Ma come nel caso del Milan degli ultimi due anni, il valore del brand non basta per occupare le prime tre posizioni necessarie ad entrare nella Champions League.
Cosa manca alle nostre società per ottenere in termini economici quello che si sta vedendo all’estero?
Il calcio italiano vive soprattutto di diritti TV. Sono carenti le altre due componenti delle fonti di ricavo, ossia i ricavi commerciali e i ricavi scaturiti dai ticket, ossia dallo stadio. La carenza dei ricavi commerciali, ad esempio rispetto alla Germania, può essere dovuta al contesto economico generale delle due nazioni. La carenza dei ricavi da “stadio” è dovuta invece alla mancanza di investimenti nelle infrastrutture. Per molti anni si è preferito investire nell’acquisto di top player mondiali come Ronaldo, Ronaldinho, Ibrahimovic, Higuain (anche se questi giocatori hanno portato risultati importanti, altri però nemmeno li ricordiamo come esempio Mendieta della Lazio acquistato per 48 mln di euro) piuttosto che affrontare il problema stadio. L’unica società ad invertire la rotta negli ultimi anni è stata la Juventus che ha stabilizzato ed incrementato la voce ricavi da “stadio”.
Il Fair play finanziario, a che punto siamo?
Il Regolamento del Fair Play Finanziario risponde a delle logiche che tendono a preservare una “sana” competizione, in un settore che fa della competizione la sua ragion d’essere. Infatti, il Regolamento del Fair Play Finanziario ha come obiettivo principale quello di far sì che i club competano utilizzando le risorse economiche che hanno a disposizione. Il ricorso all’indebitamento eccessivo è equiparabile all’uso del doping, che falsa le competizioni. La competizione deve svolgersi contando esclusivamente sulle proprie forze. Non ci si può avvalere di aiuti esterni di qualsiasi genere. Pertanto, il principio fondamentale attorno al quale gira tutto il sistema delle regole del Fair Play Finanziario è quello di “non spendere più di quanto si guadagni”. La logica del fai play oggi sta evolvendo, passando da un periodo di austerità ad uno in cui si offrirono maggiori opportunità in materia di crescita sostenibile e sviluppo. La misura chiave del nuovo regolamento è quello di consentire alle società, se non sono state punite negli ultimi tre anni dal fair play finanziario (come invece successo ad Inter e Roma), di avere un deficit più ampio dei 30 milioni di euro finora consentiti, come parte di un programma quadriennale e sulla base di una documentata previsione di crescita dei ricavi (business plan).
Thohir, presidente dell’Inter, ha chiesto di poter essere giudicato su tempi più lunghi e per la capacità di raggiungere il break even secondo un piano industriale di più ampio respiro. Può essere questa la via per evitare un sistema troppo conservativo che cristallizza i rapporti di forza nel calcio europeo?
Emergono particolari decisamente interessanti relativi al business plan dell’Inter per i prossimi sei anni. I nerazzurri, infatti, hanno un progetto economico basato su stime definite “ragionevoli, prudenti e credibili” anche dalla stessa Uefa, che così ha giustificato una sanzione “soft” in relazione al Fair Play Finanziario. Nell’analisi del business plan nerazzurro, la voce sponsorizzazioni è una di quelle che cresce di più: si passa dai 36,9 mln del 2014 ai 56,9 mln del 2021, con una crescita del 54,2%, anche se la voce che in assoluto fa segnare la crescita più impetuosa è invece quella relativa alla pubblicità, con un +620,3% stimato per il 2021, frutto di un passaggio da 7,4 mln del 2014 a 53,3 nel 2021. E i ricavi? Le stime, come detto, sono prudenti, perché tengono conto solamente dell’eventuale accesso dell’Inter all’Europa League, quindi evitando di inserire i ricavi di una futura partecipazione alla Champions che, si sa, sono fondamentali per garantire un boom alla società. La crescita è stimata in un 70,2%. Nel contempo si attuerà anche una massiccia strategia per abbassare i costi di gestione con l’obiettivo del pareggio di bilancio a 3 anni. Ma l’obiettivo principe, assieme all’azzeramento di tutti i vari debiti, è la crescita di fatturato dai 170 milioni annui attuale a 260 circa, per attestarsi nel novero dei primi 10-15 club europei con maggiori incassi. Al pari delle aziende del nostro tessuto produttivo, anche le società di calcio saranno valutate non solo attraverso dati quantitativi riscontrabili dai bilanci d’esercizio. Assume una sempre maggiore rilevanza la capacità della società di pianificare obiettivi ed attività. Ridotti i posti in Champions, perso il treno della crescita globale, i club italiani si sono infilati in un vicolo cieco. I fatturati non sono paragonabili a quelli delle migliori d’Europa e il risultato è che, nella ricerca affannosa di un virtuosismo contabile, si finisce per essere perdenti in campo e nei bilanci. Per ripartire servono piani ed obiettivi di medio periodo sia in termini di ricavi ma anche di costi operativi e finanziari.