Nel 1960, l’American Marketing Association definiva il brand come “un nome, un termine, un segno, un simbolo, un disegno o una loro combinazione che identifica un prodotto o servizio di un venditore e che lo differenzia da quello del concorrente”.
Nel 1998 Keller, amplia la definizione di brand a “struttura di conoscenza”, ossia “aggregazione, intorno a specifici segni di riconoscimento, di un definito complesso di valori imprenditoriali, di associazioni cognitive, di aspettative e di emozioni”
Che cosa è successo in questo lasso di tempo lungo quasi quarant’anni?
Inizialmente il concetto di marca era costituito prevalentemente da attributi materiali legati al logotipo, ai colori, alle combinazioni cromatiche, al naming, al simbolo, al disegno e serviva all’azienda da supporto per differenziarsi, ed al cliente per identificare l’acquisto. Oggi a questi attributi materiali si sono affiancati una serie di attributi immateriali che fanno del brand una risorsa strategica su cui puntare per dare forza all’azienda.
Il brand è passato dall’essere segno distintivo al diventare insieme di valori distintivi, in grado di creare una connessione profonda ed emotiva con il mercato. Il brand è una promessa che va mantenuta e risiede nella mente del consumatore: ecco perché una mela può diventare un PC.